Creatività, pluralità, equilibrio

 

di Giovanni Fontana

 

 

Il fallimento della globalizzazione è ormai sotto gli occhi di tutti. È un fatto innegabile dal punto di vista socio-economico ed eco-biologico. Ma tale fallimento ha un enorme significato anche da un punto di vista culturale, perché segna l’incapacità della filosofia e della scienza di incidere eticamente sulla politica, succube fino all’estremo limite dello strapotere del mercato basato su una crescita a favore di pochi e a discapito di molti, scevra da qualsiasi principio di equilibrio. La stessa conoscenza, spinta verso la mercificazione dalla rivoluzione informatica, si configura come strumento di potere, quando invece dovrebbe costituire l’humus sul quale, grazie alla massima condivisione, poter aspirare a un futuro di equità e di moderazione che possa scongiurare il pericolo di sconvolgimenti devastanti. Ma, purtroppo, – inutile negarlo – l’orizzonte del processo a cui tende la visione meccanicistica non è rassicurante; eppure sappiamo bene che ogni organismo non corrisponde alla mera sommatoria delle parti. Avendo coscienza che ciò costituisce un sinistro campanello d’allarme, al momento, pur senza rinunciare alle proprie azioni di contrasto, non ci resta che affidarci alla speranza.
Sono gli argomenti trattati in questo numero che mi spingono a fare tali considerazioni: da un lato la tendenza alla spiritualità (onorata da Stefano Manlio Mancini nell’intervista all’architetto Almuzara) di un maestro come Antoni Gaudì, impegnato in un sublime processo costruttivo, dove l’azione materiale si trasforma in preghiera, dall’altro la connessione dei bisogni spirituali a quelli sociali espressa nel progetto di Danilo Lisi e la grande considerazione dei princìpi di riciclo e riuso nel design di Gae Avitabile; da un lato la filosofia di Ricardo Bofill, trattato da Paola D’Arpino, che mette al centro dei suoi progetti la complessità dell’uomo e della sua storia, trasformando il rispetto della memoria in un dato essenziale per la configurazione del futuro, dall’altro le opere grafiche di Luigi Bevacqua e di Giorgios Papaevangeliu, che fanno riferimento ad un processo compositivo in cui l’azione promuove la forma, in un fluire inarrestabile e sapiente, fisico e mentale, dove ciò che conta è la verifica della trasformazione perpetua, in un’ottica trasversale, fondamentalmente umile, che dà conto del fatto che la poesia è tutta racchiusa nel fare, dove processo e metodo coincidono perfettamente. Un sommario, dunque, che offre un’ampia e diversificata testimonianza di equilibrio. Non posso escludere una vena illusoria, ma scorrendolo si rafforza l’idea che, di fronte al disastro della globalizzazione, contano gli sforzi di rimettere al centro dell’attenzione quel fluire complesso e indefinibile che coniuga in sé tutte le possibili direzioni e tutti i possibili intrecci: quel percorso plurale di spazio e tempo che aderisce alla realtà fenomenica del macrocosmo e del microcosmo, proprio come i più avanzati studi scientifici stanno a dimostrare. Più che un’aspirazione, sarebbe addirittura una necessità che si richiamerebbe ad una visione olistica del mondo, nei confronti del quale l’azione predatoria è ormai un fatto consolidato.
Un testo, che affronta la necessità di allontanarsi sempre di più dalle concezioni deterministiche e che, per questo, vale la pena segnalare anche al pubblico degli architetti, è Tai Chi – Poematica del principio, Edizioni Clichy, Firenze 2020, di Massimo Mori, dove l’attenzione ai concetti di equilibrio e di relatività sono espressi attraverso il filtro delle filosofie orientali. Appare pertanto impossibile, per chiarezza, prescindere dai concetti cardine di Yin e Yang, che denotano la complessità del mondo di cui siamo piccola parte. Lo Yin genera lo Yang e lo Yang alimenta lo Yin. Il concetto appare molto chiaro se ci si riferisce alla tradizionale immagine del cesto contenente due pesci, posti sul fianco, pancia contro pancia, ma con orientamenti testa-coda opposti, illuminati da un medesimo fascio di luce che, ovviamente a causa delle loro posizioni, intercetta le squame secondo direzioni diverse. Ne consegue che uno appare argenteo e abbagliante e l’altro viscido e scuro. Su campo chiaro spicca un occhio scuro, su campo scuro risalta un occhio chiaro grazie alla medesima magia della luce. Ma basta ruotare il cesto per fare in modo che la condizione di illuminazione cambi per ciascuno dei due pesci, cosicché quello che prima era scuro diventa chiaro e viceversa. Ed è così, allora, che l’immagine positiva diventa negativa e, come abbiamo già accennato, il bianco si muta in nero, il giorno in notte, il cielo in terra, l’immagine del sole diventa quello della luna, il caldo diventa freddo, il principio maschile diventa femminile, la radiosità di ciò che in occidente abbiamo chiamato Eros si trasforma nella cupezza di Thanatos, e così via, nell’alternanza perpetua tra soggetto e oggetto, tra pieno e vuoto, tra conscio e inconscio, tra soma e psiche. L’immagine del cesto è tradotta nella nota icona che può ben figurare come fregio distintivo del gesto creativo eticamente equilibrato. L’indicazione di Massimo Mori, in prima persona impegnato su questo fronte come studioso e come performer, s’inquadra non secondo il dualismo positivista o la logica meccanicistica, ma piuttosto secondo l’esigenza di una poesia-processo. Gesto creativo come gesto poetico, rapportato direttamente alla chiave etimologica del termine poesia: poiein. Poesia, dunque, come procedimento, come ricerca continua, come gesto fluttuante.
Creare, in fondo, è anche viaggiare nello spazio operativo e all’interno di sé stessi, all’interno della propria aura energetica: la sfera che ingloba le nostre potenzialità meccaniche e mentali, in positivo e in negativo. Ecco allora che nel libro di Mori uno spazio significativo è dato dal Tui Shou, il combattimento con l’ombra, dove l’ombra rappresenta il nostro lato oscuro, insito nella nostra struttura psico-fisica, contro il quale siamo perennemente costretti a lottare per ottenere da noi stessi i migliori risultati possibili nel percorso verso l’illuminazione del sé e nel processo creativo. Il combattimento con l’ombra si pone come atto tendente all’individuazione di nuovi orizzonti totalizzanti, in quanto dimensioni adatte al superamento dei dualismi che impediscono il corretto flusso della meditazione e che, nello stesso tempo, fanno sì che operativamente ci si possa muovere in maniera corretta tra le cose del mondo. Questa visione totalizzante esprime un concetto esattamente opposto a quello di globalizzazione che, sul fronte operativo, squisitamente materiale, secondo la prassi corrente che tutto inquadra, rappresenta il coinvolgimento delle varie componenti in modo esageratamente squilibrato. Ai vertici del potere non c’è infatti alcuna volontà di perseguire un equilibrio, semmai ci si sbraccia per il contrario: c’è concentrazione di interessi per alcune componenti a danno di altre: c’è sviluppo e crescita di alcune componenti a danno di altre: c’è estrema tensione tra ambiti socio-politico-culturali, tra classi e tra poteri. Tutto è dominato, scrive Mori, «dal mercato finanziario pronto allo scontro armato per imporsi con strumentali motivazioni ideologiche o religiose. Si contrappone una brutale prevalenza del potere di scambio del denaro, alla poematica del valore d’uso della natura» [pp. 67-68]. In questo senso il libro favorisce l’osservazione della necessità di un nuovo umanesimo. L’uomo contemporaneo si trova oggi di fronte ad una scelta drammatica: continuare a vivere così come stiamo facendo, procedendo verso la calamità globalizzante delle politiche dissennate e il disastro già da tempo globalizzato delle disuguaglianze e della crisi ecologica, o decidere di fare un passo indietro? Mori osserva che «si debba tornare indietro per andare avanti verso un nuovo umanesimo, verso conviventi umanesimi» [p. 68].

 

da rivista TERRITORI

n.34, anno XXIX (2022)

 

 

Giovanni Fontana: la biobibliografia è già in calce alla precedente recensione. Questa ulteriore è particolare ed è pubblicata come editoriale della rivista di Architettura TERRITORI di cui Fontana, architetto, è direttore. Il taglio critico propone in modo prismatico la ‘Poematica del Principio Tai Chi’ applicabile in ambiti scientifici molteplici e, in modo ancora più rilevante, alla gestione generale dei rapporti tra gli uomini, tra i popoli, l’ambiente e la natura per nuovi, coesistenti e diversificati umanesimi.